SpaceX ha nascosto un grave problema di sistema durante il suo volo spaziale privato con equipaggio. Riflessioni su trasparenza

La missione Polaris Dawn di SpaceX ha recentemente vissuto un momento critico prima di effettuare il primo spacewalk commerciale della storia. Secondo fonti anonime, la compagnia ha subito una perdita di comunicazione con il controllo di terra che è durata circa un'ora, proprio prima che due astronauti privati si preparassero a compiere questa storica passeggiata spaziale.

Un'interruzione inaspettata

Un insider ha rivelato a Reuters che un guasto elettrico presso la sede californiana di SpaceX ha causato questa interruzione, compromettendo la capacità del team di controllo della missione di gestire la situazione. Sebbene gli astronauti privati avessero ricevuto una preparazione adeguata prima del volo, è fondamentale sottolineare che non sono professionisti del settore. "La mancanza di comando e controllo è significativa," ha commentato la fonte anonima. "Lo scopo principale degli operatori di missione a terra è garantire una risposta rapida in caso di emergenza."

La risposta di SpaceX e NASA

Nonostante l'incidente, SpaceX non ha reso pubblica la notizia della perdita di comunicazione. Tuttavia, le aziende coinvolte nel volo spaziale commerciale devono ottenere licenze dalla Federal Aviation Administration (FAA) per garantire la sicurezza delle persone e delle proprietà a terra. È importante notare che la FAA non supervisiona la sicurezza degli astronauti a bordo delle navette private. SpaceX ha collaborato con NASA per il trasporto di astronauti verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) utilizzando il veicolo Dragon, lo stesso impiegato nella missione Polaris Dawn. Fonti confidenziali hanno confermato che SpaceX ha informato NASA riguardo alla perdita del controllo a terra durante la missione privata. Nonostante SpaceX sia stata un partner commerciale affidabile per NASA, avendo lanciato con successo nove equipaggi verso la ISS, un recente pannello di sicurezza della NASA ha sollevato preoccupazioni riguardo alla sicurezza delle operazioni. 
Questo evento mette in luce le sfide e i rischi associati alle missioni spaziali commerciali, specialmente quando coinvolgono astronauti non professionisti. La comunità spaziale attende con interesse ulteriori sviluppi sulla missione Polaris Dawn e sulle misure che SpaceX adotterà per garantire la sicurezza nelle future operazioni.

 

28.12.24
USA/Oriente: il dilemma Cina per Trump

Il think tank americano Responsible Statecraft analizza le sfide che l'ex presidente Donald Trump dovrà affrontare nella sua seconda amministrazione, con particolare attenzione alla Cina, considerata la principale minaccia per la supremazia globale degli Stati Uniti. La complessità delle relazioni tra Washington e Pechino si riflette in diversi aspetti, tra cui il commercio, la sicurezza militare e le alleanze internazionali.

La cina come priorità strategica

La Cina è vista come un avversario che non solo possiede una notevole capacità economica e militare, ma che ha anche intrapreso un'azione strategica per sostituire l'ordine mondiale liberale stabilito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Michael Waltz, scelto da Trump come consigliere per la sicurezza nazionale, ha affermato che gli Stati Uniti sono in una vera e propria corsa agli armamenti con la Cina, un avversario unico nella storia americana.

Opzioni di politica estera

Trump si troverà di fronte a scelte difficili: da un lato, potrebbe optare per un approccio più aggressivo, aumentando le sanzioni e le pressioni militari su Pechino; dall'altro, potrebbe cercare di negoziare accordi commerciali che potrebbero essere visti come una capitolazione dai falchi del suo partito. Questa dualità di approcci potrebbe complicare ulteriormente le sue relazioni con i consiglieri più bellicosi.

Taiwan: il punto di rottura

Uno dei temi più critici sarà il futuro di Taiwan. La crescente indipendenza dell'isola e le minacce di invasione da parte della Cina rappresentano un potenziale punto di conflitto che potrebbe coinvolgere direttamente gli Stati Uniti. La politica della "strategic ambiguity" (ambiguità strategica) degli Stati Uniti nei confronti di Taiwan potrebbe essere messa in discussione, con alcuni consiglieri che spingono per una maggiore chiarezza strategica e un impegno diretto a difendere l'isola in caso di attacco cinese.

Guerra commerciale o coesistenza economica?

Le tariffe imposte durante il primo mandato di Trump rappresentano un altro aspetto cruciale delle sue future politiche. Con l'intenzione di aumentare le tariffe su tutti i prodotti cinesi fino al 60%, Trump dovrà bilanciare la pressione economica su Pechino con il rischio di ritorsioni che potrebbero colpire l'economia americana. L'atteggiamento aggressivo verso la Cina potrebbe portare a una guerra commerciale devastante, mentre un approccio più pragmatico potrebbe favorire una coesistenza economica più stabile.

In sintesi, Trump si troverà a dover prendere decisioni fondamentali su come gestire le relazioni con la Cina. Le sue scelte influenzeranno non solo gli equilibri geopolitici ma anche l'economia globale e la sicurezza internazionale. Le tensioni già esistenti potrebbero intensificarsi se non verranno gestite con attenzione, rendendo il suo secondo mandato cruciale per il futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Cina.

Violenze contro i migranti alla frontiera del Messico, arriva app governativa

Il governo messicano sta sviluppando un'applicazione mobile innovativa destinata a supportare i migranti che si trovano a rischio di detenzione da parte delle autorità statunitensi. Questa iniziativa, annunciata dal segretario agli affari esteri messicano, Juan Ramón de la Fuente, ha come obiettivo principale quello di fornire un mezzo per avvisare familiari e consolati in caso di emergenza.

Funzionalità dell'app

L'applicazione, attualmente in fase di test, funzionerà come un "pulsante di emergenza". Gli utenti potranno attivarla per inviare un avviso immediato ai membri della famiglia e al consolato messicano più vicino nel momento in cui percepiscono il rischio di essere arrestati. De la Fuente ha sottolineato che l'app è progettata per garantire una risposta rapida e coordinata in situazioni critiche, migliorando così la sicurezza dei migranti.

Contesto politico e sociale

Questa iniziativa arriva in un momento delicato, con l'imminente insediamento del presidente eletto Donald Trump, noto per le sue posizioni severe riguardo all'immigrazione. Le preoccupazioni tra i migranti sono elevate, soprattutto in vista delle possibili nuove politiche restrittive che potrebbero essere introdotte. Molti migranti temono di non riuscire a entrare negli Stati Uniti prima che vengano implementate tali misure.

Reazioni e critiche

Nonostante l'intento positivo dell'app, ci sono state critiche riguardo alla sua efficacia e alle implicazioni legali. Diverse organizzazioni per i diritti umani hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che l'app potrebbe limitare l'accesso dei migranti al territorio statunitense, considerandola una violazione del diritto internazionale. In particolare, l'app è vista come un tentativo del governo statunitense di controllare ulteriormente i flussi migratori, rendendo più difficile per i richiedenti asilo ottenere protezione.

Sostegno ai migranti

Oltre all'applicazione, il governo messicano ha anche potenziato il personale consolare e i servizi legali per assistere i migranti durante il processo di deportazione. È stato istituito un centro di assistenza attivo 24 ore su 24 per rispondere alle domande dei migranti, evidenziando l'impegno del Messico nel garantire che i diritti dei suoi cittadini siano rispettati anche all'estero. 

Infine, mentre il Messico cerca di affrontare le sfide legate alla migrazione attraverso soluzioni innovative come questa app, rimane cruciale monitorare le reazioni della comunità internazionale e le conseguenze delle politiche migratorie future. La sicurezza dei migranti e il rispetto dei loro diritti devono rimanere una priorità fondamentale in questo contesto complesso.

 

Cecilia Sala arrestata in Iran: giornalismo sotto attacco in un contesto di tensioni internazionali

L'arresto della giornalista italiana Cecilia Sala a Teheran lo scorso 19 dicembre ha sollevato un’ondata di preoccupazione e indignazione a livello internazionale. Sala, 29 anni, lavora per il quotidiano Il Foglio e per la piattaforma di podcast Chora Media. È attualmente detenuta in isolamento nella prigione di Evin, un luogo tristemente noto per le condizioni dure e le violazioni dei diritti umani. Nonostante fosse in possesso di un regolare visto giornalistico, le autorità iraniane non hanno fornito alcuna motivazione per la sua detenzione, un silenzio che contribuisce a rendere questa vicenda ancora più inquietante​​.

Un arresto in un contesto delicato

Cecilia Sala si trovava in Iran per realizzare reportage e produrre episodi del suo podcast, tra cui l'ultimo dal titolo provocatorio, "Patriarcato a Teheran", pubblicato pochi giorni prima del suo arresto. La giornalista, attesa a Roma il 20 dicembre, aveva mantenuto contatti regolari con la famiglia fino al giorno precedente la sua scomparsa, quando il suo telefono è diventato improvvisamente irraggiungibile​.

L’arresto di Sala avviene in un momento di tensioni tra l'Iran e l'Italia, alimentate dall’arresto in Italia, su richiesta statunitense, di due cittadini iraniani. Questo contesto geopolitico complesso solleva interrogativi sul possibile utilizzo della giornalista come pedina in negoziati diplomatici o come strumento di pressione nei confronti dell’Occidente​.

La risposta italiana e internazionale

Il governo italiano, attraverso il Ministro della Difesa Guido Crosetto e il Ministero degli Esteri, ha condannato fermamente l’arresto, definendolo “inaccettabile” e avviando negoziati per ottenere la sua liberazione. L’ambasciatore italiano a Teheran ha visitato Sala in carcere, riferendo che la giornalista è “molto stanca ma fisicamente in buone condizioni”. Sala stessa, in una delle poche telefonate concesse alla famiglia, ha esortato a “fare in fretta” per garantirle la libertà​.

Anche il mondo dell’informazione si è mobilitato. Chora Media ha lanciato l’hashtag #FreeCecilia per sensibilizzare l’opinione pubblica, sottolineando che la sua detenzione rappresenta un attacco alla libertà di stampa. Il Foglio, dal canto suo, ha ribadito che “il giornalismo non è un crimine”, denunciando il clima repressivo che soffoca l’informazione in Iran​.

Un caso simbolo per la libertà di stampa

L’arresto di Cecilia Sala è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi che vedono il regime iraniano utilizzare giornalisti e cittadini stranieri come strumenti di pressione. L’Iran è tristemente annoverato tra i paesi con il più alto numero di giornalisti imprigionati al mondo, accanto a regimi come Cina, Myanmar e Russia. Questo caso evidenzia ancora una volta le sfide affrontate dai reporter nei contesti autoritari e solleva interrogativi sul ruolo della comunità internazionale nel difendere la libertà di espressione e i diritti fondamentali​.

Mentre le autorità italiane continuano a lavorare per garantire il ritorno di Sala, il suo caso rappresenta un appello urgente alla solidarietà globale per il giornalismo libero e indipendente, in un mondo sempre più minacciato da repressioni e tensioni geopolitiche.

27.12.24
Biden grazia la maggior parte delle condanne a morte

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato il 23 dicembre 2024 la commutazione delle condanne a morte di 37 detenuti federali, trasformando le loro pene in ergastolo senza possibilità di libertà condizionata. 

Questa decisione storica arriva a meno di un mese dal ritorno previsto alla Casa Bianca di Donald Trump, un noto sostenitore della pena capitale, e risponde a crescenti pressioni da parte di attivisti, leader religiosi e membri del Congresso che si oppongono all'uso della pena di morte.

Un gesto di clemenza

La commutazione delle pene è stata descritta come un atto di pietà e coraggio, in linea con l'appello fatto da Papa Francesco e da numerose organizzazioni per i diritti umani. Biden ha dichiarato che queste azioni sono coerenti con la moratoria sulle esecuzioni federali che la sua amministrazione ha imposto, eccezion fatta per i casi di terrorismo e omicidi di massa motivati dall'odio. 

Solo tre detenuti rimarranno nel braccio della morte: Dzhokhar Tsarnaev, coinvolto nell'attentato alla maratona di Boston; Dylann Roof, responsabile della strage nella chiesa di Charleston; e Robert Bowers, autore dell'attacco alla sinagoga Tree of Life di Pittsburgh.

Motivazioni dietro la decisione

Biden ha spiegato che la sua decisione si basa su una profonda convinzione personale contro l'uso della pena di morte. "Condanno questi assassini e piango per le vittime dei loro atti spregevoli," ha affermato. Tuttavia, ha aggiunto che la sua coscienza lo guida verso l'abolizione della pena capitale a livello federale. Questo provvedimento segna un passo significativo verso una riforma della giustizia penale negli Stati Uniti.

Contesto politico

La decisione di Biden è stata influenzata dalle preoccupazioni riguardo a un possibile aumento delle esecuzioni sotto l'amministrazione Trump, che aveva già ripristinato le esecuzioni federali durante il suo primo mandato. Con il passaggio imminente del potere, molti attivisti temono che le politiche più severe sulla pena capitale possano tornare in auge.

Un cambiamento storico

Questo atto di clemenza non è isolato; all'inizio del mese, Biden aveva già commutato le pene per circa 1.500 detenuti, rappresentando il più grande provvedimento di clemenza nella storia moderna degli Stati Uniti. La sua amministrazione ha dimostrato un impegno costante verso la riforma del sistema giudiziario e la riduzione delle pene detentive per reati non violenti. 

In conclusione, la scelta di Biden rappresenta non solo una risposta alle richieste di giustizia sociale ma anche un tentativo di segnare una differenza significativa nelle politiche penali statunitensi prima del suo termine.

 

26.12.24
Il mito del "controllo umano" nell'IA: una promessa vuota?

L'introduzione dell'Intelligenza Artificiale (IA) in decisioni importanti ha sollevato una grande quantità di dibattiti. Da un lato, l'IA è in grado di analizzare dati e prendere decisioni con velocità e scala ineguagliabili da qualsiasi essere umano. Dall'altro, gli errori, spesso gravi e dannosi, sono sempre dietro l'angolo.

Una soluzione proposta per mitigare i rischi dell'IA è l'integrazione di un "essere umano nel circuito" ("human in the loop"), ovvero un operatore umano incaricato di supervisionare e, se necessario, correggere le decisioni prese dall'algoritmo. Questo approccio, almeno in teoria, promette il meglio di entrambi i mondi: l'obiettività computazionale dell'IA unita alla capacità umana di esercitare discrezionalità e sensibilità contestuale.

Tuttavia, come evidenziato dallo studioso Ben Green e da altre ricerche recenti, questa soluzione si è rivelata tutt'altro che infallibile. Il problema principale risiede nel comportamento umano quando si trova a lavorare con un sistema automatizzato.

I limiti del controllo umano

Studi empirici mostrano che gli esseri umani tendono a sviluppare una fiducia eccessiva nei sistemi automatizzati, un fenomeno noto come "bias di automazione". Questo porta gli operatori a accettare acriticamente le decisioni dell'IA, anche quando queste contrastano con la propria esperienza e conoscenza. Ad esempio, un'indagine sulla polizia londinese ha rivelato che gli agenti sovrastimavano l'accuratezza del riconoscimento facciale automatizzato, ritenendolo tre volte più affidabile di quanto fosse realmente.

Inoltre, affidarsi all'IA può indebolire le competenze degli esperti umani. Quando ci si limita a valutare i risultati finali, senza affrontare il processo analitico completo, gli operatori perdono familiarità con i fattori che portano a una decisione. Paradossalmente, questa semplificazione rende il controllo più difficile e meno efficace.

Ma c'è di più: quando gli umani intervengono per modificare le decisioni dell'IA, lo fanno spesso in modo soggettivo e, talvolta, discriminatorio. Un esempio inquietante è l'analisi delle decisioni sui casi di affidamento dei minori, dove i giudici tendevano a sovrascrivere i consigli dell'IA in favore di genitori bianchi rispetto a quelli neri, perpetuando i bias che l'IA avrebbe dovuto mitigare.

Una falsa sicurezza

Green definisce questa situazione come un "effetto perverso". L'introduzione dell'IA con un supervisore umano può dare l'illusione di sicurezza e controllo, spingendo le organizzazioni a implementare sistemi automatizzati anche in contesti delicati. Allo stesso tempo, le responsabilità per eventuali errori vengono spesso trasferite sugli operatori umani, creando quella che alcuni esperti chiamano una "zona di responsabilità sfumata".

Dunque

L'idea di un essere umano nel circuito è certamente accattivante, ma nasconde profonde complessità. Affidarsi all'IA per correggere le imperfezioni umane richiede che gli stessi supervisori siano infallibili, il che è chiaramente irrealistico. Il rischio, come sottolinea Green, è che questa strategia venga utilizzata non per migliorare la giustizia e l'efficienza, ma per tagliare i costi a scapito dei più vulnerabili, con scuse pronte all'uso quando le cose vanno storte.

La vera sfida, quindi, è costruire sistemi in cui tecnologia e controllo umano si completino davvero, senza trasformare l'uno o l'altro in una copertura per fallimenti sistemici.

 

22.12.24
Le banche degli Emirati Arabi Uniti bloccano le transazioni per le aziende russe

Negli ultimi mesi, le aziende russe si trovano ad affrontare una crescente difficoltà nelle transazioni finanziarie a causa delle nuove sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Le banche degli Emirati Arabi Uniti, che fino a poco tempo fa erano considerate un importante "hub" finanziario per le operazioni commerciali russe, hanno iniziato a bloccare e ritardare i pagamenti legati a queste aziende. 

Questa situazione sta aggravando ulteriormente le sfide economiche già significative che la Russia deve affrontare a causa delle sanzioni occidentali. Secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa russa RBC, oltre cinquanta banche, tra cui la statale Gazprombank, hanno adottato procedure di verifica dei pagamenti notevolmente più rigorose. Questo cambiamento ha portato a ritardi significativi: mentre in passato le transazioni attraverso le banche di Dubai richiedevano solo 1-3 giorni, ora possono impiegare fino a due settimane o addirittura un mese. 

Molte aziende segnalano che i fondi vengono trattenuti o restituiti, e in alcuni casi, le transazioni sembrano essere scomparse del tutto. Ci sono numerosi resoconti di fondi prelevati dai conti emiratini che non sono stati accreditati nei conti bancari russi. Le nuove restrizioni imposte dagli Stati Uniti hanno costretto le banche degli Emirati a rivedere i termini di cooperazione, imponendo un controllo più severo sui pagamenti. 

Di conseguenza, per alcune categorie merceologiche, come l'elettronica e le attrezzature industriali, le banche degli Emirati hanno addirittura sospeso completamente le attività di transazione. Le aziende russe avvertono che potrebbe emergere uno scenario in cui solo una o due banche degli Emirati siano disposte a elaborare transazioni, minacciando così la loro capacità di effettuare pagamenti attraverso questa via commerciale. 

Inoltre, un rapporto di Reuters ha evidenziato una diminuzione del 10,5% delle esportazioni denominate in yuan dalla Cina verso la Russia nel mese di novembre, anch'essa attribuibile ai problemi di pagamento. Anche quest'anno, le aziende russe avevano già lamentato un aumento dei controlli e dei rifiuti nelle transazioni da parte delle banche kirghize.  

In sintesi, la situazione attuale rappresenta una sfida significativa per le imprese russe che dipendono dalle transazioni attraverso gli Emirati Arabi Uniti. Con l'intensificarsi delle sanzioni e il deterioramento delle relazioni commerciali, il futuro delle operazioni finanziarie russe in questa regione appare sempre più incerto.

Nigeria: sequestrate 2 tonnellate di scaglie di pangolino, arrestato un trafficante di fauna selvatica

In un’operazione cruciale contro il traffico di fauna selvatica, le autorità nigeriane hanno sequestrato oltre 2 tonnellate di scaglie di pangolino e arrestato un sospetto collegato a reti di commercio illegale. Questo intervento, realizzato il 5 dicembre grazie all’intelligence fornita dalla Wildlife Justice Commission (WJC), rappresenta un duro colpo per i trafficanti transnazionali operanti in Nigeria, in particolare nella zona di Lagos.

Il pangolino, mammifero tra i più trafficati al mondo, è vittima della domanda di scaglie utilizzate nella medicina tradizionale, nonostante la mancanza di evidenze scientifiche sui presunti benefici medicinali. L’impegno congiunto tra il Servizio Doganale Nigeriano (NCS) e la WJC, avviato nel 2021, ha condotto a 16 operazioni, 35 arresti, 12 condanne e al sequestro di oltre 21.500 tonnellate di scaglie di pangolino e più di una tonnellata di avorio.

Questa operazione non solo indebolisce le reti criminali, ma dimostra l’impegno della Nigeria nella lotta contro i crimini ambientali e nella protezione delle specie a rischio. Olivia Swaak-Goldman, Direttrice della WJC, ha sottolineato il valore di tali azioni nel rafforzare le capacità di applicazione della legge e nel creare rischi significativi per i trafficanti lungo l’intera catena.

È fondamentale che la comunità internazionale sostenga queste iniziative, promuovendo legislazioni più rigide e collaborazioni transnazionali per proteggere la biodiversità globale. Solo con sforzi coordinati potremo garantire la conservazione delle specie minacciate e interrompere il ciclo del commercio illegale di fauna selvatica.

 

21.12.24
La CNN indaga se l'uomo abbia fornito una "falsa identità" nel drammatico rapporto sulla prigione siriana

Un recente reportage di Clarissa Ward per CNN ha rivelato la drammatica scoperta di circa 35 corpi all'interno di un ospedale militare a Damasco, pochi giorni dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad. Questi resti, identificati come tra le ultime vittime della brutalità del regime, portano con sé il peso del dolore e della sofferenza di famiglie che da anni cercano notizie dei loro cari scomparsi.

La scoperta dei corpi

Le immagini strazianti dei corpi martoriati, esposti in una morgue, raccontano storie di torture e abusi sistematici. Le vittime, probabilmente prigionieri provenienti dal famigerato carcere di Saydnaya, sono state trovate in condizioni raccapriccianti. Una donna presente ha gridato disperatamente: "Dove sono? Mia madre è scomparsa da 14 anni". Questo grido rappresenta il dolore collettivo di chi ha perso qualcuno senza mai avere risposte.

Testimonianze e condanna

All'interno della morgue, i corpi sono identificati solo tramite numeri, mentre i familiari cercano volti familiari illuminando le immagini con i loro telefoni. Dr. Ahmed Abdullah, un membro dello staff della morgue, ha denunciato le atrocità inflitte dal regime: "Anche nel Medioevo non si conoscevano torture simili". Le testimonianze di ex detenuti confermano questo orrore, descrivendo abusi fisici e psicologici che hanno segnato per sempre le loro vite.

Le prove delle atrocità

La documentazione delle atrocità commesse dal regime è vasta. Nel 2014, un defector ha smesso quasi 27.000 immagini che documentano le condizioni disumane dei detenuti. Un rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che il regime ha sepolto decine di migliaia di persone in fosse comuni e ha costruito un crematorio a Saydnaya per eliminare le prove dei crimini.

Un futuro incerto per le famiglie

Con la caduta del regime, le famiglie si riuniscono intorno alla morgue in cerca di risposte. Molti sperano che le indagini sulle registrazioni ufficiali possano finalmente svelare la verità su ciò che è accaduto ai loro cari. I graffiti lasciati dai detenuti nelle celle sotterranee raccontano storie di speranza e disperazione, segnando un desiderio profondo di essere ricordati. Questo reportage non solo mette in luce la brutalità del regime di Assad ma offre anche uno spaccato umano della crisi siriana, dove la ricerca della verità continua a essere una battaglia fondamentale per le famiglie delle vittime.

 

17.12.24
Scandalo ai mondiali di Fitness: atleta lituana squalificata per una maglietta contro la Russia

A Budapest, durante i Mondiali di Fitness, l'atleta lituana Körnelija Düdaitė è stata squalificata per aver indossato una maglietta con la scritta "Make Russia small again" ("Rendiamo la Russia di nuovo piccola"). Con questo gesto, Düdaitė voleva manifestare solidarietà all'Ucraina e denunciare l'aggressione russa.

La protesta della campionessa non si è fermata alla maglietta: ha sfilato con una bandiera ucraina, invitando tutti a combattere per i propri ideali, proprio come fa l'Ucraina nella sua lotta per la libertà. Tuttavia, la Federazione Internazionale di Fitness Funzionale (IF3) non ha tollerato il messaggio, definendolo "antisportivo" e imponendo la squalifica per la Düdaitė. La decisione ha messo a rischio la partecipazione dell'intera squadra lituana, che ha infine deciso di ritirarsi in segno di solidarietà con la propria compagna.

Sul suo profilo social, Düdaitė ha commentato: "Hanno detto che la mia partecipazione offende i russi. Spero che l'Ucraina vinca e li offenda veramente."

Un gesto coraggioso che ha acceso il dibattito su politica e sport, in un contesto internazionale sempre più teso.

 

15.12.24