A volte, la verità non emerge da una singola, drammatica rivelazione, ma dal meticoloso accostamento di prove che, una volta assemblate, formano un quadro inequivocabile. Il recente rilascio di tre email dalla massa documentale di Jeffrey Epstein operato dai Democratici dell’House Oversight Committee ha proprio questo effetto: non sconvolge la narrazione, la consolida con dettagli che trasformano le supposizioni in certezze.
Le email sono frammenti di conversazioni private che gettano una luce cruda sulle relazioni tra Donald Trump, Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell, mostrando dinamiche di conoscenza e complicità che Trump ha a lungo tentato di negare o, almeno, di ridimensionare.

L’email più grava, scambiata tra Epstein e Maxwell nell’aprile 2011, cita esplicitamente una delle vittime che aveva passato "ore a casa [di Epstein] con Trump".
Il contesto temporale è significativo: un mese prima che Trump si ritirasse dalle primarie presidenziali del 2012. È un dettaglio che solleva interrogativi sul potenziale leverage, sulla possibilità di un ricatto in gestazione in un momento cruciale della prima incursione di Trump nella politica nazionale.

Tuttavia, è l’email del 2019 a Michael Wolff a rivelare la meccanica della menzogna. Epstein, commentando le dichiarazioni pubbliche di Trump, scrive: "ha detto che mi ha chiesto di dimettermi, mai un membro, mai". Questa non è una semplice smentita tra affaristi. È la correzione, da parte di uno degli attori principali, di una versione dei fatti che Trump stava costruendo per il consumo pubblico. Epstein sta di fatto affermando: "La sua narrazione di allontanamento morale è falsa. Io conosco la verità dei fatti".
Questa verità trova un’eco imbarazzante nelle dichiarazioni che Trump ha fatto lo scorso luglio. In due distinti momenti, subito dopo che il suo avvocato, Todd Blanche, ebbe incontrato Ghislaine Maxwell in carcere, Trump offrì quella che può essere definita una "confessione calibrata". Ammise di aver saputo che Epstein "rubava" ragazze dallo spa di Mar-a-Lago, di avergli intimato di smettere e, dopo una reiterazione, di averlo cacciato. Arrivò persino a identificare Virginia Giuffre come una di quelle ragazze.
La nuova documentazione, tuttavia, capovolge questa versione auto-assolutoria. Il problema non era solo Epstein. Il reclutamento avveniva attraverso Ghislaine Maxwell. E Trump, stando ai fatti che emergono, non si confrontò con l’architetto della trafficazione, Epstein, ma con la sua reclutatrice sul campo, la Maxwell. E, cosa ancor più grave, la sua reazione non fu di allertare le autorità o di proteggere in modo sistematico il suo staff, ma di gestire la situazione come una questione privata, un fastidio da contenere.
La timeline stessa confessa più di quanto Trump vorrebbe. Giuffre fu "reclutata" da Maxwell nel 2000. Un’altra ragazza fu prelevata anni dopo, forse nel 2004. Trump, secondo la sua stessa ammissione, intervenne solo dopo questo secondo episodio. Ciò significa che per anni, pur essendo a conoscenza del fatto che una sua dipendente minorenne era stata coinvolta nella rete di Epstein, non fece nulla per aiutarla o per fermare il meccanismo.
L’azione di Todd Blanche, che ha incontrato Maxwell prima delle dichiarazioni di Trump, assume ora un significato più oscuro. Non fu un semplice colloquio legale. Appare sempre più come una coordinata preparazione della difesa, un allineamento delle versioni che ha portato Trump a fornire un "limited hangout": un’ammissione parziale della verità, studiata per assorbire lo shock di rivelazioni future e per incanalare le colpe esclusivamente verso Epstein, l’unico attore ormai silenziato.
Il rilascio di queste email nello stesso giorno in cui Adelita Grijalva sta per essere insediata, fornendo il 218esimo voto cruciale per forzare il rilascio completo dei file Epstein, non è una coincidenza. È un avvertimento. È la prova che i documenti ancora secretati contengono conferme ancor più esplicite di queste relazioni pericolose.
La storia non è più solo quella di un presidente amico di un pedofilo. È la storia di un uomo che sapeva del traffico di minori che avveniva nella sua proprietà, che parlò con i trafficanti, ma che scelse di non intervenire per fermarli, preferendo proteggere sé stesso. E ora, con il suo avvocato, sembra lavorare per silenziare l’unica altra persona, oltre a lui, che può raccontare fino in fondo quella verità: Ghislaine Maxwell.


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